La storia del tailleur, simbolo di emancipazione femminile

Vestire il potere per esprimere potere: è questo uno degli obiettivi che ha assillato le donne di intere generazioni a partire dagli anni ‘60 quando, grazie alla convergenza di una serie di eventi storici, economici e culturali, anche quello che era considerato il “gentil sesso” ha potuto cominciare a ritagliarsi delle posizioni di rilievo. 

Se ricoprire delle posizioni di potere era importante, lo era altrettanto trovare i codici comunicativi, soprattutto di comunicazione non verbale, per poter sottolineare questo momento di svolta. Tra tutti i capi d’abbigliamento, il tailleur è quello che, sicuramente, ha espresso in maniera più evidente questo passaggio. Vediamo quindi: 

  • I primi tailleur
  • Il tailleur di Chanel 
  • Il tailleur androgino di Yves Saint Laurent 
  • Il contribuito del cinema 
  • Due archetipi a confronto. 

I primi tailleur

Il tailleur è stato inventato da un uomo: sembra il destino beffardo della storia della moda che porta un capo d’abbigliamento che oggi rappresenta l’emancipazione femminile ad essere stato creato proprio da uno stilista uomo. 

Del resto, però, il capostipite dei tailleur moderni aveva delle fattezze e linee ben diverse da quelle che conosciamo oggi ed era tutt’altro che agevole. Veniva realizzato con stoffe pesanti, intelaiate con crine per conferire alla silhouette la rigidità tipica di quell’epoca accentuata anche dalle spalle imbottite al maschile. Inoltre, i movimenti erano resi ancor meno agevoli da una gonna lunga fino ai piedi (e oltre), ma senza le decorazioni che caratterizzano gli abiti di fine ottocento.

Gran parte del successo del tailleur si deve alla Regina Alessandra, moglie di Edoardo VII del Regno Unito, e icona indiscussa di stile ed eleganza dell’epoca. Grazie al suo plauso, questo capo d’abbigliamento riuscì finalmente ad uscire allo scoperto quando venne commissionato dalla regnante al noto sarto John Redfern eleganti tailleur da viaggio. Siamo nel 1885 e il noto sarto inglese, in maniera forse inconsapevole, sta delineando i canoni estetici del tailleur: era da indossare solo nelle ore mattutine, senza fronzoli e accompagnato da accessori mascolini quali gilet e cravatta. Si segnava involontariamente il primo passo della moda verso l’emancipazione femminile.

Bisogna arrivare alla Prima Guerra Mondiale perché il tailleur assuma le forme che oggi conosciamo, con una gonna al ginocchio e una giacca più morbida, seppure sempre strutturata (caratteristica che rimane invariata ancora oggi). Il tailleur moderno, come lo conosciamo oggi

L’urbanizzazione, il percorso di emancipazione che stavano compiendo le donne e la diffusione dello sport contribuirono alla diffusione del tailleur che, in questo momento, era ancora composto da una gonna e una casacchina. 

Il tailleur di Chanel

Arrivati a questo punto della storia bisogna sottolineare l’apporto di alcuni grandi stilisti, primi tra tutti la giovanissima Gabrielle. 

Coco, che aveva già mostrato quanto il tweed fosse il materiale che rappresentasse appieno la propria idea di creatività, costruisce intorno a questo tessuto (con un mix di tweed appunto, seta e lana) l’iconico tailleur Chanel. La giacca è dritta e strutturata, con un’unica cucitura al centro della schiena, mentre le maniche corrono sottili e posizionate in alto sulla spalla per ottimizzare il comfort e il movimento. La parte anteriore viene valorizzata da quattro tasche e da dei sottili profili che decorano i bordi e i polsini, i bottoni gioiello che rispecchiano l’iconografia Chanel (una testa di leone, una camelia, una guaina di grano, una doppia C…)  completano il tutto.

Dopo la battuta d’arresto segnata dall’arrivo della guerra che costringe la giovane stilista a chiudere la sua boutique, al termine dei contrasti bellici la giovane stilista rilancia la “propria creatura”: il tailleur Chanel diventa tra la fine degli anni cinquanta e l’inizio degli anni sessanta, uno dei simboli delle donne della borghesia chic, indipendente, moderna.

Il tailleur androgino di Yves Saint Laurent

Parallelamente alla crescente emancipazione femminile, proprio negli anni delle contestazioni “sessantottine”, nel 1966 Yves Saint Laurent propone un nuovo modello di tailleur, che sottolinea questo momento di profonda emancipazione: nasce il tailleur pantalone.

Arriva quindi il completo smoking da donna che può essere indossato da tutte coloro che non hanno paura di vestire, lavorare e atteggiarsi come un uomo. Non a caso, infatti, questo nuovo capo d’abbigliamento, così accattivante e sensuale, attira l’attenzione del noto fotografo Helmut Newton che, nel 1975, lo immortala indosso ad una modella di sexy androginia che fuma in un vicolo. 

Utilizzato come abbigliamento da ufficio, il tailleur invade per la prima volta gli ambienti lavorativi grazie alla condizione delle donne, che vedendo partire i mariti al fronte, furono costrette a lavorare per guadagnarsi da vivere.

Il contributo del cinema alla canonizzazione del tailleur 

Gli anni ‘70 e ‘80 sono anche il periodo d’oro di Cinecittà e della cinematografia americana che viene vista nei cinema all’aperto, facendo sognare gli uomini e le donne italiane. In questo periodo in cui le lotte femministe avevano finalmente avuto la meglio (ricordiamo che il suffragio universale in Italia arriva nel 1946). 

Sono le dive del cinema a rendere il tailleur iconico, solo per citare alcuni esempi: Ingrid Bergman in Casablanca, Scarlett Johansson nel noir Black Dahlia, Glenn Close in Attrazione fatale e soprattutto Sigourney Weaver in Una donna in carriera.Soprattutto quest’ultimo film ha contribuito a creare un legame molto stretto tra tailleur-mondo del lavoro. Ma al di là del cinema, nella vita reale la situazione era leggermente diversa: se con Grace Kelly e Jacqueline Kennedy (la principessa di Monaco ricevette la nomina nel 1956 sposando in un tailleur rosa di pizzo Ranieri di Monaco; Jackie Onassis ne indossò uno il 22 novembre 1963 al suo arrivo a Dallas con il marito, la loro ultima apparizione insieme),  il tailleur era entrato nell’immaginario comune e nei guardaroba delle donne di tutto il mondo, ci vollero ancora anni prima che questo capo d’abbigliamento si assicurasse lo status quo di completo sofisticato.

Ecco quindi che si delinea l’anima moderna per come viene inteso oggi: 

  • strumento di emancipazione: chi indossa questo capo sembra voler dire “sono una donna, ma penso e valgo almeno quanto un’uomo”. Dopo anni in cui questo capo d’abbigliamento era riservato solamente alle donne di potere e aveva assunto un significato prettamente legato alla sensualità, oggi viene usato come strumento di comunicazione non verbale. E il messaggio è molto chiaro: io valgo. 
  • allure da favola: il tailleur, soprattutto quello che viene indossato con la gonna (alla Jacqueline Kennedy) ha un’aura di eleganza romantica che consente a chi lo sceglie di avere uno stile senza tempo. 

Due archetipi a confronto

Oggi il tailleur viene indossato da tutte le donne che desiderano comunicare la propria leadership in maniera chiara. Le donne al potere, soprattutto nel mondo della politica, hanno fatto il resto, delineando due archetipi: 

  • Margareth Thatcher: è stata il primo ministro dal 1979 al 1990 e leader del partito conservatore inglese. Il suo stile si è contraddistinto per l’adozione di un tailleur con la gonna per tutto il suo mandato: erano tempi duri quelli in cui la “Iron lady” ha esercitato il proprio potere, fatti di contestazioni operaie e di debolezza della corona britannica. Nonostante questo il suo power dressing è diventato iconico e ha ispirato tantissime donne che, dopo di lei, hanno seguito le sue orme. Per citarne solo una? Christine Lagarde.
  • Angela Merkel: con qualche anno di ritardo, si afferma proprio in Germania il secondo archetipo di power dressing femminile che declina il tailleur alla maniera di Yves Saint Laurent, ossia con il pantalone. Coerente con la personalità di Angela – prima donna ad essere cancelliera – i pantaloni sono uno strumento per esercitare il proprio potere androgino con uno stile essenziale, poco trucco e pettinatura che strizza l’occhio alla moda maschile. Sanna Martin, di cui avevo già parlato in tempi insospettabili in questo articolo, ha apprezzato la scuola della Merkel. 

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Sono Isabella Ratti – Business e Image Expert – e posso aiutarti a costruire uno stile coerente con le tue ambizioni e la tua posizione lavorativa. Da anni affianco imprenditrici ambiziose e determinate che vogliono essere certe che il proprio abbigliamento sia di supporto al messaggio di comunicazione non verbale che vogliono inoltrare. Se anche tu vuoi l’aiuto di un professionista qualificato, contattami e sarò felice di fissare una chiacchierata conoscitiva. 

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