La rivincita della Barbie ordinaria

Il nuovo live action di Barbie si annunciava un successo già prima che arrivasse nelle sale del cinema. Sarà perché la bambola più amata di casa Mattel ha affascinato già generazioni di bambine e non solo, oppure perché il color rosa è diventato oggetto di rebranding di molti marchi – uno tra tutti Valentino – diventando ufficialmente genderless.

Il risultato è chiaro: un fenomeno globale al quale hanno aderito tanta parte dei principali brand del mondo dell’abbigliamento con le partnership, basato su una rivisitazione solo in apparenza ironica del ruolo iconico di Barbie e dei personaggi che le ruotano intorno.

Un fenomeno di portata globale 

La notizia che ha fatto più scalpore è stata che per la produzione di Barbie sono state esaurite le riserve mondiali di vernice rosa. Come cantavano gli Aqua negli anni ‘90 il “Barbie World” presentato nell’ultimo film è essenzialmente rosa, come lo sono anche i vestiti della protagonista.

Senza sorpresa, qual è il comune denominatore delle iniziative di marketing per il lancio del nuovo film Barbie? Il rosa, colore predominante nelle limited edition di scarpe, t-shirt, palette per il trucco, ascensori e oggetti d’arredo, persino nei menù di hamburger.

Non è solo una scelta estetica, ma un elemento chiave dell’identità visiva del brand Barbie. In particolare, le sfumature più vivaci e quasi fluo, come l’Hot Pink, sono diventate il simbolo di una generazione: i Millennials. Per loro, il rosa rappresenta libertà, audacia, passione e soprattutto fluidità di genere.

Alcune sfumature di rosa, particolarmente in voga sulle passerelle, sono state ribattezzate “Millennial Pink”. Questi bambini cresciuti tra gli anni Ottanta e Novanta, durante il boom di Barbie, oggi nutrono una sana nostalgia che alimenta il fenomeno del Barbiecore.

Solo per citare alcune delle iniziative portate avanti dai principali brand: la capsule collection di sneaker firmate Superga, Gap, Forever 21 e Aldo Funboy hanno declinato il mood barbie personalizzando i propri prodotti principali. E ancora, Barbie x Kipling è una collezione di zaini, pochette, marsupi e tracolle che permettono di affrontare al meglio la propria giornata, al ritmo del grido “Pink Mode On”: l’iconica scimmietta si tinge di rosa e viene sostituita dal portachiavi di Barbie.

Una rappresentazione ironica del mondo?

Quando sono andata a vedere il film mi sarei aspettata un trama diversa da quella che ho visto e questo mi ha sorpreso positivamente per svariate ragioni.

Prima di tutto bisogna considerare che il film nasce con lo scopo di promuovere il prodotto, in maniera nemmeno troppo velata. E questo primo risultato è stato ampiamente raggiunto visto il successo di massa delle partnership e della febbre Barbiecore che sta invadendo non solo i feed social ma anche i negozi on e offline. Ma il film Barbie è molto di più di questo: ritengo che ci sia un significato molto profondo che la regista, Greta Gerwig, ha voluto veicolare attraverso la pellicola.

Senza fare troppi spoiler, tutta la trama ruota intorno a Barbieland, il mondo dove vige il matriarcato e in cui Barbie all’inizio del film vive in un equilibrio incondizionato. Sono le donne che comandano e tutte le questioni femministe sembrano in parte risolte. Lo snodo avviene quando è proprio Barbie a sentire il bisogno di uscire da Barbieland e scoprire il mondo reale: parte quindi insieme a Ken per scoprire che, fuori dalle porte del suo mondo incantato, esiste un mondo in cui sono gli uomini a dettare le regole.

A questo punto Ken, che fino ad allora si era dimostrato un personaggio assolutamente secondario e accessorio rispetto a Barbie, torna a Barbieland dove impone il patriarcato come ha visto accadere nel mondo reale. Le Barbie, assolutamente impreparate verso questo genere di comportamento e di imposizioni maschili, rimangono soggiogate. Quando Barbie torna è troppo tardi.

L’unico rimedio è ricorrere alle Barbie “vecchie”, quelle con i capelli tagliati dalle bambine e quelle un po’ trasandate, che hanno la memoria di come è stato instaurato il patriarcato. Sul finale non rivelo nulla, ma a me ha fatto venire i brividi.

Il cambiamento..in punta di piedi 

In una delle prime sequenze del film la Robbie compare mentre cammina su delle scarpe rosa mostrando la forma del piede naturalmente inclinata proprio per indossare i tacchi a spillo. Per girare questa scena ci sono volute ben 8 ore perché Margot voleva assolutamente che ci fossero i suoi piedi: ecco quindi che con pazienza si è avvicinata sempre di più alla vera camminata di Barbie.

Ho iniziato a camminare, avevamo del nastro biadesivo attaccato sul pavimento, in modo che potessi togliere i piedi facilmente, lasciando attaccate le scarpe. Nel frattempo mi tenevo ad un’asta, non avevo un’imbracatura o cose simili. Mi sono semplicemente avvicinata piano piano, aggrappandomi alla sbarra sopra alla macchina da presa” ha spiegato Margot Robbins.

Non si tratta solo di come tiene inclinato il piede, ma questo è un elemento che fa parte dell’identità di Barbie fin dalle origini. Del resto, quale tratto distintivo migliore per indicare che Barbie è un’adulta se non quello di farla camminare con le scarpe dei grandi per antonomasia cioè i tacchi?

Ma oltre ad essere un elemento essenziale del suo personal branding, questo dettaglio ha anche un importante ruolo narrativo: quando Barbie si accorge che i suoi talloni sempre sollevati toccano terra per la primissima volta, capisce che è l’inizio della fine del suo mondo.

La potenza espressiva di questa scena è tale che è diventata una sfida social che punta a imitare la camminata di Barbie. Partecipare è semplice: si indossano dei tacchi alti (tip: con i sabot è più facile) si posiziona il cellulare all’altezza delle caviglie e ci si filma mentre si sfilano le scarpe rimanendo in punta di piedi, proprio come farebbe Barbie.

È curioso come tra le prime a raccogliere il guanto della sfida sia stata la modella Chrissy Teigen: su Instagram ha condiviso una clip in cui toglie dei sabot fucsia metallizzati per restare in equilibrio sulle punte dei piedi. Scommettiamo che tra pochi giorni i nostri feed saranno pieni di tacchi e di mezze-punte?

Barbieland e la negazione della morte

A Barbieland tutti i personaggi sono immutabilmente perfetti e giovani: non esiste nessuno fuori posto e, in apparenza, questo elemento non viene nemmeno considerato come straordinario. Quando però Barbie si reca nel mondo reale entra in contatto con la vecchiaia, incontrando una donna anziana e le dice che è bellissima.

Sebbene questa scena non dia nulla al film è considerata una delle sequenze più toccanti di tutte. Come ha affermato la regista “Se taglio questa sequenza, non so di cosa parla il film”.

Quel “Sei Bellissima”interpretato in maniera spontanea e gentile da Margot Robbie è il cuore pulsante di tutto il film.

Il monologo di Gloria (America Ferrera)

Viene affidato a Gloria, una delle donne del mondo reale, uno dei momento più significativi di tutto il film. È lei che descrive a Barbie (Margot Robbie) le aspettative contraddittorie che le donne devono soddisfare ogni giorno.

È letteralmente impossibile essere una donna. Sei così bella, e così intelligente, e mi uccide il fatto che tu non pensi di essere abbastanza bravo. Ad esempio, dobbiamo essere sempre straordinari, ma in qualche modo lo facciamo sempre nel modo sbagliato.

Devi essere magro, ma non troppo. E non puoi mai dire di voler essere magro. Devi dire che vuoi essere sano, ma devi anche essere magro. Devi avere soldi, ma non puoi chiedere soldi perché è grossolano. Devi essere un capo, ma non puoi essere cattivo. Devi guidare, ma non puoi schiacciare le idee degli altri.

Dovresti amare essere una madre, ma non parlare sempre dei tuoi figli. Devi essere una donna in carriera, ma anche essere sempre attenta alle altre persone. Devi rispondere del cattivo comportamento degli uomini, il che è folle, ma se lo fai notare, sei accusato di lamentarti.

Dovresti essere carina per gli uomini, ma non così carina da tentarli troppo o da minacciare altre donne perché dovresti far parte della sorellanza. Ma distinguiti sempre e sii sempre grato. Ma non dimenticare mai che il sistema è truccato. Quindi trova un modo per riconoscerlo ma anche essere sempre grato” .

Non esiste donna per la quale queste parole non siano vere: non si tratta di lotta femminista o meno, ma questo monologo è un autentico capolavoro perchè sintetizza le contraddizioni insite nella società e le pressioni alle quali siamo chiamate a rispondere quotidianamente.

I richiami a Matrix e Zoolander, non troppo velati

Barbie è sicuramente un film che ha molto di originale, ma in alcune parti strizza l’occhio ad altre produzioni di grande successo. Primo tra tutti il tema della scelta viene stressato molto e ci ho rivisto la scena di Matrix: nel caso di Margot potremmo dire “pillola rosa o pillola blu?”. Nella pratica Margot Robbie viene messa davanti alla possibilità di scegliere, simbolicamente, tra una scarpa con il tacco e di una Birkenstock, simbolo non casualmente di normalità.

Un secondo riferimento poco velato è Zoolander: sono soprattutto i look di Ken all’inizio dell’era del patriarcato ad essere un rimando esplicito. Del resto che i colori e la fantasie fossero diventati iconici lo avevo già accennato nel mio libro Fashion Marketing.

La rivoluzione di Ken

Il film è rosa, il titolo non parla di lui, eppure Ken viene in qualche modo riscattato in questo film. Per quanto non sia stato facile interpretare questo personaggio, Ryan Gosling riesce a trovare il giusto equilibrio.

Del resto, in Barbieland Ken non ha soldi, non ha un lavoro, non ha un’auto e non ha una casa. Sta affrontando un po’ di problemi nel rapporto con Barbie e mettendo a punto alcuni aspetti del suo rapporto con il matriarcato. In questo modo ideale in cui regnano le donne, Ken non può nemmeno stasera seduto davanti in auto accanto a Barbie.

Il personaggio è quello di un aitante ragazzo abbronzato e con i muscoli in evidenza, ma del tutto privo di spessore e intelligenza. È lui a dare il tocco di commedia ironica del film e sembra quasi che venga trascinato nella rivoluzione di Barbie, senza che forse ne sia completamente consapevole.

Eppure, in un film così ideologicamente femminista è proprio ad un uomo che tocca il ruolo così centrale: a lui sono riservate tante battute, alcune delle quali strepitose che sottolineano il suo essere insitamente di serie B (“Sono solo Ken, qualsiasi cosa faccia sarò sempre il numero 2”) e il suo essere friendzonato da Barbie (“Dove io vedo l’amore, lei vede un amico”).

Quando poi Ken va nel mondo reale, a bordo della decappottabile di Barbie, e importa il patriarcato in Barbieland dopo averlo imparato diventa da macio a “cattivo della storia”, cruciale per le sorti del mondo. Nella mutazione da uomo-accessorio a macho, Ken aderisce a tutti i cliché della mascolinità tossica. La morale della favola lascia l’amaro in bocca: il machismo è una gabbia, ma tornare a fare l’uomo-zerbino non è certo la soluzione.

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