Body positive: come sta cambiando il mondo della moda

Chi di noi non ricorda come Andy, protagonista di Il Diavolo veste Prada, è malvista dai suoi colleghi perché porta una taglia 42? Dalle smagliature di Bella Hadid al Met Gala 2019 all’acne di Giulia de Lellis al Festival di Venezia di quest’anno, la bellezza inclusiva ha cominciato a farsi sempre più spazio. Il Body Positivity si è espanso a tal punto da non rappresenta più solo le donne curvy ma un’intera generazione esausta dalla continua ed incessante ricerca della perfezione.

La nuova moda, quella di oggi, per questo sta cercando di superare l’esclusività puntando sempre più all’originalità e al cambiamento. Donne come Ashley Graham, Dani Miller o Rihanna sono solo alcune delle paladine mosse a favore del body positive. Ma come è nato il movimento? E soprattutto, quanto siamo realmente pronti ad accettarlo?

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Body positive: origini e storia 

Con body shaming si intende un fenomeno di discriminazione che porta la persona a sentirsi inferiore, inadatta all’interno della società, sino al non accettare più se stessa. Dire no ai canoni di bellezza standardizzati, al bullismo, alle critiche, è una battaglia portata avanti da diverso tempo, ma che come tutte le vere lotte richiede coraggio e determinazione. Molte sono le donne e gli uomini, soprattutto dello spettacolo, quindi famosi e conosciuti, che cercano quotidianamente di abbattere tutti quegli stereotipi presenti, promuovendo la normalità, i difetti, cercando così di aiutare tutti coloro che si sentono inadatti guardando le riviste, le passerelle o le foto dei profili, chiaramente fake, di Instagram.

Il mondo della moda, per questo, non ha mai aiutato. Sin dagli anni ‘60 è stata lanciata l’immagine della modella longilinea, con gli occhi grandi ed i lineamenti delicati: la “Twiggy” per meglio intenderci. Alla donna formosa del dopoguerra, gradualmente è stato sostituito il fisico asciutto, i capelli biondi ed il portamento sensuale. Questi sono così diventati i topoi perfetti che devono essere necessariamente rispettati se si desidera essere considerati “belli” ed accettati dalla società.

Per fortuna, con l’inizio del XXI secolo, questa concezione è andata scemando, lasciando sempre più spazio a quelle bellezze considerate “diverse”, quelle che per molto tempo non sono state neppure considerate tali. Il termine ‘body positivity’, nello specifico, nasce tra il 2010 e il 2011 grazie ad alcune donne di colore oversize, che hanno iniziato ad utilizzare sui social l’hashtag #BodyPositivity. Ciò è servito per promuovere un messaggio positivo dedicato a tutti coloro che ha un corpo che non rientra nei canoni pre-definiti.

Se però inizialmente, il body positivity ruotava intorno ai chili di troppo, gradualmente si è esteso inglobando anche la disabilità, i corpi con smagliature e cicatrici, con psoriasi e vitiligine. Tutti si sono finalmente sentiti rappresentati sulle copertine di riviste, film o serie tv, lasciando il messaggio che anche chi pensava di avere un ‘difetto’ adesso può vantare di possederlo.

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Quanto siamo pronti al cambiamento?

In un contesto in cui i disturbi alimentari sono sempre più un problema, ci si sta rendendo conto che magrezza non sempre equivale a benessere, e che fino ad oggi le modelle sono spesso state sottoposte a diete restrittive o abitudini alimentari poco salutari, solo per rispondere a topoi di bellezza prestabiliti.

Pelli perfette, gambe sottili, vitini da vespa ed altezze vertiginose: questo era ciò che si vedeva, fino a poco tempo fa, nelle riviste di moda ed anche sui social. Ma ci si sta spostando verso un’altra direzione, accettando che le donne, gli uomini e più in generale le persone non sono tutte le stesse e, per fortuna, ognuno ha qualcosa che lo caratterizza. Quel qualcosa però, quell’apparente difetto altro non è che un tratto distintivo, utile a valorizzare se stessi.

Vanity Fair, uno dei più importanti magazine di moda, è stato tra i primi a farsi portavoce del Body positive nel nostro paese. Ha supportato quest’anno l’acne di Giulia de Lellis, i chili post-parto di Vanessa Incontrada e la sua conseguente lotta contro il bullismo, le linee decise del viso di Armine Harutyunyan, modella criticata per essere ‘troppo brutta’ per posare per un brand come Gucci

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Le stessa maison di lingerie, Victoria’s Secret, è stata accusata di non stare al passo con i tempi e molto femministe, sui social, hanno postato la frase «La società è cambiata. Victoria’s Secret no», proprio per testimoniare quanto le modelle scelte per le sfilate-eventi avessero canoni di bellezza troppo elevati e troppo poco realistici.

Versace, Gucci, Dolce e Gabbana hanno puntato, quindi, a modelle con corpi e visi più normali, più semplici e arrivabili. Hanno mirato a portare in passerella donne e uomini sicuri dei propri corpi e dei loro apparenti difetti, e nonostante ciò determinati a mostrarsi al mondo. Ma come loro, molti sono stati i brand che hanno voluto abbattere gli stereotipi e i pregiudizi fotografando modelle dai colori, volti e lineamenti differenti.

La domanda che ci si pone è però sempre la stessa: quanto noi siamo realmente pronti ad accettare modelli di bellezza così tanto diversi da quelli classici?

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